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"Predisposto al bello e all'ostinata ricerca della perfezione, Vito Santin cerca e trova una sua strada dopo anni di lavoro consapevole, ma non pubblica, non si fa largo, lascia piuttosto che l'igneo e il tellurico, appreso meditando gli altri, attraversi il suo carattere schivo e appartato fino a trovar luce. La scelta del dialetto è quasi un obbligo, vista la profondità con cui ama la sua piccola patria, Scomigo, frazione collinare di Conegliano, posta a confine tra l'ex città industriale e i territori di Vittorio Veneto. Non un salto nel buio, ma il passaggio dalle umiltà dell'argilla lavorata in precedenza, a quelle della lingua contadina ceramizzata in versi splendenti, come in questi 686 che ora - divisi in dieci sezioni - emergono sorgivi sul bianco della pagina."(dall'introduzione di Luciano Caniato).